Le navi
La storia delle "navi romane del lago di Nemi" è direttamente collegata al nome dell'imperatore Caligola.
Allevato in Egitto e devoto alla dea Iside (personificazione della Luna, come Diana), Caligola veniva sul lago di Nemi dove, su due navi a scafo piatto, stracariche di ornamenti, statue, mosaici, tempietti, sovrastrutture varie, si svolgevano riti a lei dedicati. L'Imperatore romano, accanto alla devozione per Iside, aveva anche concezioni politiche avanzate che, però, non furono mai appoggiate né dal Senato né dagli aristocratici romani, i quali complottarono a suo danno e lo fecero uccidere, decretandone, con la damnatio memoriae, la condanna perenne al biasimo e all'oblio. Questo tipo di condanna, di cui i romani facevano largo uso, consisteva nel distruggere iscrizioni, statue, medaglie, monete e tutto ciò che riportasse il nome o l'effige dell'odiato tiranno o che fosse particolarmente rappresentativo del suo potere. Le navi, quindi, avrebbero fatto ricordare Caligola e, perciò, furono affondate. Così, col passare dei secoli, sopravvisse la leggenda di due navi favolose che giacevamo sul fondo del lago. Nel periodo medioevale, però, accadde qualcosa: mentre alcuni pescatori erano intenti a catturare pesce nelle acque del lago di Nemi, le proprie reti si incagliarono in qualcosa. I pescatori si tuffarono e scoprirono due enormi scafi di due navi da cui, immediatamente, asportarono vari manufatti, per lo più di bronzo. Da quel momento, appena venne sparsa la voce sull'esistenza di due grandi navi romane che giacevano sul fondo del lago, si cominciò a pensare al loro recupero. Molte invenzioni furono ideate, molti tentativi vennero fatti: alcuni molto pittoreschi, altri del tutto maldestri tanto da porre in serio pericolo il mantenimento e la sopravvivenza stessa delle navi.
Solo nei primi anni del Novecento si decise di adottare metodi di recupero seri e scientifici: la commissione governativa, incaricata di studiare il problema, arrivò alla conclusione che l'unica via per recuperare le navi intatte era quella di prosciugare il lago. Infatti, un grosso strato di fango pesava su i due scafi e, tentare di imbracarli e tirarli su, avrebbe significato spezzarli definitivamente. Decisiva fu la partecipazione dell'industria italiana che si mobilitò, in generosa gara, a fornire macchinari, attrezzi e soluzioni per il recupero dei due reperti. Alla fine, si costruì una pompa apposita, si ripristinò l'antico emissario, il livello delle acque del lago calò ed entrambe le navi vennero recuperate sotto gli occhi sbalorditi, stupiti e meravigliati dei presenti. Era il 1929. Le navi furono portate in secco e ricoverate sulla riva.
L'eco dell'impresa fu enorme in tutto il mondo. Il nome di Nemi rimbalzò da un punto all'altro della Terra e grande fu l'ammirazione degli stranieri per l'Italia. Era il 1929 e, da lì a poco tempo, venne costruito il Museo dove gli scafi vennero portati. Ma le fatiche, durate 500 anni e finalmente giunte al successo, furono bruscamente vanificate nella notte del 30 maggio del 1944 quando, durante un attacco dei cannoni americani, il museo prese misteriosamente fuoco e, con esso, le navi. Lo sgomento per la perdita dei preziosissimi reperti fu immenso. Le navi erano perse per sempre. Si salvarono solo le parti asportabili, come le ancore e le decorazioni di bronzo o i frammenti di mosaico che erano state previdentemente portate a Roma l'anno prima.