La terrazza degli innamorati e i Miti della Valle del Lago

La terrazza degli innamorati e i Miti della Valle del Lago

La Terrazza degli Innamorati viene inaugurata il 14 febbraio 2015 e trae la sua denominazione dagli amori mitologici della valle del lago, in particolare quelli tra Diana e Virbio e tra Numa Pompilio e la Ninfa Egeria.

IL RAMO D’ORO ED IL REX NEMORENSIS 

Quella del rex nemorensis, il “re del bosco”, è la leggenda protagonista del libro dell’antropologo James Frazer, dal titolo “Il ramo d’oro”, pubblicata per la prima volta nel 1890 e successivamente nel 1915.

Il rituale, che si svolgeva da tempo immemore nei boschi della valle del lago, prevedeva che uno schiavo fuggiasco e straniero diventasse il re del bosco attraverso un combattimento rituale.

Tale combattimento avveniva in quanto tale schiavo era ritenuto responsabile del delicato rapporto tra uomo e natura e per questo doveva sempre restare giovane e in forze. Appena fosse invecchiato o si fosse ammalato veniva ucciso dal nuovo rex.

Simbolo di tale potere era un “ramo d’oro”, ovvero un ramo di quercia ricoperto di vischio, che è giallo e rendeva dunque il ramo “dorato”.

Si tratterebbe dello stesso ramo utilizzato da Enea per scendere nell’oltretomba nei pressi del lago Averno.


IPPOLITO/VIRBIO

La storia di Ippolito/Virbio inizia in Grecia: egli era il figlio del re di Atene Teseo e dell’amazzone Antiope, o secondo altre versioni, Ippolita o Melanippa.
In seguito alla morte della madre, suo padre si risposò con Fedra.
Ippolito era talmente devoto ad Artemide da far ingelosire la dea dell’amore, Afrodite, che decise con una pozione magica di fare innamorare di lui la sua matrigna.
Quando Fedra venne respinta dal giovane, indispettita, scrisse una lettera al marito nella quale raccontava di essere stata da lui insidiata e poi si tolse la vita. 
Teseo allora chiese vendetta a suo padre, il dio del mare Poseidone, che inviò contro il carro di Ippolito un bue di acqua, che fece imbizzarrire i cavalli, i quali lo travolsero e ridussero il suo corpo a brandelli.
A questo punto vi sono due versioni della leggenda: in base alla prima, Artemide trovando Ippolito a terra morente, lo ringraziò e lo lasciò a terra.
In base all’altra versione del mito, Artemide si innamorò di Ippolito, lo fece curare dal dio della medicina Asclepio e lo trasformò in vecchio, al fine di ingannare Ade, dio dell’oltretomba.
Quindi lo portò a Nemi, dove Ippolito divenne suo sposo e sacerdote del suo tempio.
Il suo nuovo nome sarà Virbio, dal latino Vir bis, “colui che nasce due volte”.
In onore di Ippolito si celebrava a Trezene una cerimonia che prevedeva che le giovani donne non ancora sposate si tagliassero i capelli. Nei recinti sacri a lui dedicati ed anche nel santuario nemorense non era consentito portare cavalli in memoria della sua morte.


LA NINFA EGERIA

Le ninfe nella mitologia greca erano figlie di Zeus, raffigurate come bellissime fanciulle che vivevano a lungo, restando sempre giovani.
Erano legate ognuna ad un elemento naturale e spesso costituivano il corteggio di divinità minori.
Gradivano offerte di latte, idromele, olio e miele.
Sfuggivano agli uomini ma a volte non ne rifiutavano l’amore, come nel caso della Ninfa Egeria e del Re Numa Pompilio, secondo re di Roma, che proprio dalla ninfa avrebbe preso ispirazione per la sua legislazione religiosa.
Alla morte del re, il pianto della ninfa, rifugiatasi trai boschi di Nemi, sarebbe stato talmente forte, da impedire lo svolgimento delle cerimonie in onore di Diana. Per pietà la dea decise allora di trasformarla in sorgente.
Nella valle del lago si trovava una grotta a lei dedicata dalla quale sgorgava acqua, ancora visibile da alcuni viaggiatori del Grand Tour. Le caratteristiche minerali della sorgente, legate all’origine vulcanica dell’area, sono probabilmente state oggetto in passato di un culto che la vedeva protagonista e che prima si legava alla figura di Diana Nemorensis.
Alcuni vasetti miniaturistici rinvenuti nella zona e forse pertinenti ad un deposito votivo sono ora esposti al Museo delle Navi Romane.


DIANA

La radice del nome Diana si trova nel termine latino dius ("della luce", da dies, "[la luce del] giorno"), arcaico divios, per cui originariamente si sarebbe chiamata Diviana.
La luce a cui si riferisce il nome sarebbe quella che filtra dalle fronde degli alberi nelle radure boschive, in quanto l’associazione della Luna con la dea fu molto tarda.
La sua simbologia è legata al mondo selvaggio: spesso reca una fronda in una mano e una coppa ricolma di frutti nell'altra, in piedi accanto ad un altare, dietro al quale si intravede un cervo.
Signora delle selve e dei torrenti, protettrice delle vergini e delle partorienti, era legata ai passaggi di stato delle giovani donne, che da fanciulle diventavano matrone.
Servio Tullio realizza un tempio a lei dedicato sull'Aventino, spostando il centro del culto federale dal nemusaricinum, con il consenso dell'aristocrazia latina.
Altri santuari erano situati nei territori del Lazio antico e della Campania: il colle di Corne, presso Tusculum, dove è chiamata con il nome latino arcaico di dea Cornisca e dove esisteva un collegio di cultori della dea; il monte Algido, sempre presso Tuscolo; a Lanuvio, dove è festeggiata alle idi (13) di agosto dal Collegio Salutare di Diana e Antinoo; a Tivoli, dove è chiamata Diana Opifera Nemorense; un bosco sacro è inoltre citato da Tito Livio ad compitumAnagninum, cioè all'incrocio fra la via Labicana e la via Latina, presso Anagni; il monte Tifata, presso Caserta.
La dea sarà, a causa dell’influenza greca sulle cuti di Roma, associata ad Artemide, con la quale si identifica, acquisendone anche le caratteristiche relative al mito ed alla genealogia.
Il suo legame con la luna è alla base della sua triplice venerazione come Ecate (luna calante), Selene (luna piena) e Diana (luna nascente), in relazione alle tre fasi della donna: giovane, matura e anziana.
Quando il paganesimo sarà soppiantato dal culto cristiano, la sua figura verrà associata alla stregoneria e le sacerdotesse della dea accusate di eresia.

Diana Nemorensis, la cui denominazione deriva dal latino nemus, che vuol dire bosco, è una divinità arcaica, legata al mondo selvaggio ed all’acqua sorgiva, diversa dalla romana Dea della caccia.
Ovidio racconta nei Fasti 3, 259 – 275 la processione che si svolgeva a Nemi ogni 13 di agosto e coinvolgeva fedeli provenienti da tutta la Penisola, che arrivavano al Santuario, con vesti bianche e corolle di fiori sul capo, portando delle torce accese.
I cani, animali simbolo della Dea, venivano inghirlandati e portati all’interno del recinto sacro, in quanto la caccia era proibita.
Tale figura divina veniva invocata in concomitanza con tutti i passaggi fondamentali della vita dell’uomo: dalla nascita, alla riproduzione, alla morte.
Presentava inoltre una relazione con le sorgenti minerali della valle, di origine vulcanica, considerate magiche e venerate per le loro proprietà legate alla sanatio ed alla fertilità.
Un altro aspetto che la differenzia dalla dea romana è la sua relazione con Ippolito / Virbio, figlio del re di Atene Teseo, punito da Afrodite per la sua totale devozione ad Artemide e, in base alla leggenda, salvato e curato dalla dea, che una volta trasformatolo in vecchio, lo avrebbe chiamato Virbio e nominato suo sacerdote nel santuario nemorense.
A ricordo della sua tragica storia i cavalli, che l’avevano travolto ed ucciso, non potevano entrare nell’area sacra.
Con l’arrivo della dominazione romana, l’aspetto del culto di Diana legato alla sorgente e dunque alla sanatio ed alla fertilità passa alla Ninfa Egeria, sposa del re Numa Pompilio, che alla morte di quest’ultimo si rifugia nella valle del lago e dalla dea viene trasformata in una sorgente.
Gli ex – voto a lei donati riproducono le varie parti del corpo umano in terracotta le quali, in base al concetto di “magia dell’immagine” avrebbero catturato la malattia e portato, in seguito all’assunzione o all’aspersione dell’acqua, alla guarigione.


ISIDE

La dea egiziana Iside è figlia di Nut (dea del cielo) e di suo fratello Gheb (dio della terra).
Secondo una legenda Nut è madre di Ra, che ingoia ogni notte per farlo risorgere al mattino. Un’altra versione narra invece che suoi figli siano Isis, Osiris, Set e Nefti. Tali figli, partoriti senza il consenso di Ra, nacquero nei cinque giorni che Thot vinse per lei alla luna, sui quali Ra non aveva potere. Da allora l’anno ha 365 giorni.
Iside è la massima divinità della natura e della fecondità, grande madre di tutte le cose.
È spesso raffigurata con corna e testa di vacca, animale a lei sacro.
Dopo la morte del fratello e marito Osiride per mano di Seth, la dea ne raccoglie i resti dispersi e lo riporta in vita con le sue arti magiche, rendendolo immortale. Isis, Osiris e Horus presiedono il tribunale dell’al di là.
Protegge i naviganti. Il 15 marzo si svolge in suo onore l’Isidisnavigium, cerimonia di inaugurazione dei commerci via mare che si svolgeva al chiaro di luna su delle imbarcazioni e che l’imperatore Caligola svolgeva sulle acque del bacino lacustre nemorense.